Mi chiamo Punjab-Kay sono indiano e ora vivo in Italia, a Milano, capitale della moda e dell'immigrazione clandestina, grazie alla quale ho potuto da Lampedusa arrivare sin qui dopo uno sbarco terrorizzante e angoscioso (il CTP, Centro di Prima/ Accoglienza/ Detenzione) e successiva e molto pericolosa fuga notturna, attraverso campi e case. Un viaggio in mare che per chi non sa nuotare, come me, è stato uno spaventoso passaggio attraverso la morte che ho visto mille volte in faccia con le sue unghie spumeggianti pronte a ghermirmi tra gli urli delle onde e quelli dei miei disgraziati compagni e, alla fine, tra quelli del megafono della Guardia di Finanza che ci ha salvati disidratati e sporchi sino al collo delle nostre deiezioni, tremanti di freddo e grigi di paura. Il viaggio l'ho comunque già pagato quasi tutto, su mille euro, una fortuna!, al turco ne devo ancora trecento, ma da parte ne ho già centottanta, quindi la posizione non è così male. Dunque, ripeto qui il racconto della mia situazione attuale, più o meno la stessa che ho fatto a un cronista di un quotidiano che però mi sembrava più curioso personalmente che professionalmente, essendo lui dubbioso già in partenza sulla possibilità che il suo giornale pubblicasse un articolo così crudo a proposito di insediamento e integrazione di gente come me in mezzo a gente come lui, due mondi troppo diversi. Allora il fatto è che, a parte il mio debito con il trasportatore turco via mare, e quello terrestre con gli albanesi del camion di verdura, pagati subito, e prima di partire da Catania per arrivare a Bergamo, con loro non si scherza e non si ragiona, meglio non avere rogne, io sono uno di quelli che dice che a Milano si sta bene, per tutto. Intanto per la pulizia che non è così rigorosa e che con tutti gli sfregi sulle case si presenta a noi con un'aria familiare non distaccata, ma umana di un vissuto trascurato e rabbioso che è proprio lo stato d'animo che all'inizio noi, uruguayani, cinesi, filippini, albanesi, ucraini, indiani come me, sentiamo dentro il nostro cuore , e i nostri pensieri anch'essi infreddoliti da questi inverni che solamente costose bombole di gas ci consentono di affrontare per sopravvivere a una serie di mesi gelidi che non finiscono mai. Un'altra ragione del mio star bene qui, a parte il poco decoro e la scarsa manutenzione della città che sono un fatto di immediata congenialità estetica alla mia allegra incultura cittadina, è la possibilità di lavorare molto bene, in nero e senza problemi, questo anche per l'abitazione, purché si dimostrino disponibilità e iniziativa. Qui si può trovare rapidamente un buon rifugio, se si ha la giusta capacità di adattamento. Io, ad esempio, anzi noi, perché per dividere le spese siamo in tre, due indiani e un filippino che vende in Galleria topini elettronici con gli occhietti rossi che lampeggiano emettendo uno strano cri cri che piace tanto ai bambini, abbiamo trovato un ottimo sottobox, sotto perché ci si arriva da un box scendendo con una vecchia scala di legno da muratore. Qui si può dormire, magari con poca aria ma senza rumori (quello con la Mercedes arriva sempre entro l'una e poi sino alle dieci del mattino non lo sentiamo più). Sono dodici metri dove abbiamo sistemato tre brandine, i ganci dal soffitto servono per i vestiti, per lavarci andiamo su nel box dove c'è un piccolo lavabo e la pompa per le auto che può essere usata per i piedi e il resto, ci si aggiusta come si può. Per il sottobox, richiestissimo e ambito da molti, paghiamo cento euro al mese, compresa la luce ( attaccata dal portinaio a quella del condominio) , escluse le bombole. Il padrone non l'abbiamo mai visto, i soldi li dò io a un ragazzo amico del portinaio che li dà lui al proprietario. Nessuno ci può scoprire né dire niente, perché paghiamo puntualmente, solo una volta siamo rimasti indietro di venti euro perché al filippino li aveva trattenuti il suo fornitore, il cinese, si trattava di topini difettosi e non venduti. Per me, questo affitto va benissimo, anzi è poco, perché adesso sto guadagnando molto bene, grazie a un'idea che mi sta trasformando in imprenditore con grandi soddisfazioni. Dunque, essendo io abitante di una traversa di via Manzoni, ho notato subito dal mio arrivo che qui ala gente, ma anche la più normale, non voglio dire proprio povera, ama farsi vedere magari per quello che non è, più ricca e spendacciona rispetto alla sua modesta realtà economica. Questo farsi vedere è soprattutto dato dal vestire, dalla moda, che purtroppo è costosissima, con un solo giacchino ci si pagherebbe il viaggio in mare, addirittura su una comoda petroliera nigeriana. Dunque ho anche visto e capito la vera sofferenza che il sabato e la dominica si legge negli occhi degli abitanti dei paesi e delle periferie, e poi non solo loro, anche impiegati, professori, ceto cosiddetto medio, che guardano le scintillanti vetrine de prèt à porter, delle scarpe e delle borse, abiti, cinture, stivali, sapendo di non poterli comprare. Mentre invece le persone, più o meno ricche che passeggiano con grandi borsoni dopo aver acquistato, osservano la loro evidente impossibilità economica che li mortifica di fronte a questo grande desiderio non esaudito. Vedendo tutto questo ho pensato allora che il prodotto che mancava a Milano era l'Apparenza, fonte di felicità e di soddisfazione per tutti. E mi sono messo io a produrla, l'apparenza. Ho iniziato facendo favori e piccoli lavoretti di pulizia, sbrigando commissioni e passeggiate al cane e altre piccole incombenze per i direttori e i commessi dei negozi lussuosi, quelli del quadrilatero, e per le loro portinerie. In cambio anziché soldi, chiedo borse, quelle di carta e stampa raffinata, con il marchio ben visibile, Prada, Gucci, Fendi, Armani, Dolce & Gabbana, Dior, Hermès, Tod's. Gli shopper, bellissimi, nuovi, di tutti i formati e di tutti i colori. Poi nel sottobox con la carta (pulitissima solo giornali arretrati come nuovi) io e i miei amici gonfiamo e riempiamo queste borse come se dentro ci fosse roba vera, moda carissima. Confezioniamo un vero spettacolo di griffe impacchettate e mai acquistate, pronte da far vedere a tutti passeggiando e prendendo, se si può, il caffè da Cova, St. Ambroeus e in San Babila. Le borse, irresistibili da esibire, le affitto a ore, cinque euri un'ora, due ore nove euri, pomeriggio forfait dodici euri. Un successone. La mia clientela, felice finalmente di passeggiare con l'agognato simbolo del potersi permettere, è cresciuta molto bene, anche come qualità soprattutto negli altri giorni della settimana. Non solo la classe periferica, ma anche quella media impiegatizia o di alta disoccupazione, gente che sa scegliere bene la griffe e la borsa più adatta alla propria personalità. Una clientela che mi restituisce la borsa in perfetto stato (mi faccio sempre lasciare come cauzione un documento) e paga senza fiatare. Adesso i direttori dei negozi e le portinaie mi chiedono qualcosa di più per darmi i loro shopper, però ho saputo che tra di loro ne hanno parlato concludendo che questa in fondo è tutta pubblicità per i loro negozi. Andiamo bene, quindi, anche se io, per premunirmi, ho già contattato chi mi può fornire direttamente gli shopper, però pagandoli in euri e non con i nostri lavoretti. Vedremo. Comunque il lavoro c'è, e sto mettendo insieme una piccola rete per affrontare altre interessanti città, Lodi, Pavia, Bergamo dove il passeggio non solo di fine settimana è altrettanto intenso che a Milano. Iniziativa, dunque, e serietà professionale, Milano, non tradisce mai e premia come sempre la laboriosità e la costanza. Però un imprenditore, proprio quando ha successo, non deve fermarsi mai su se stesso e sul suo prodotto. Per questo sto studiando nuove merceologie con i loro relativi imballi. Dall'alimentare e gastronomia, Peck, Principe, sino alla pasticceria, Cova, St. Ambroeus, Godiva. Pacchetti, pacchettini, confezioni scintillanti e lussuose che dai primi sondaggi avranno certamente successo. E forse, presto, il trasloco, dal sottobox a una vera cantina, con griglia sul cortile, solo per me, senza debiti, senza ragazza, ma con un solido futuro, quello dell'Apparenza. Questa è la storia di un successo e di un'idea, la mia, quella di Punjab-Kay, detto Shopper da chi lo conosce professionalmente. Una fantastica storia di moda.
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