Tempo
d’autunno, tempo di rientro. La rentrée. Tempo di verità. La
città, il lavoro, il negozio, lo studio, l'ufficio. Il peso enorme
di doveri, di compiti, di rapporti obbligati, di convenzioni da
rispettare. Prima, invece, la passeggiata solitaria nei sentieri, il
tuffo nel blu, il fruscio delle vele e delle ruote della bicicletta,
la corsa del cane, o semplicemente l’ozio sul balcone di una
periferia solitaria e inedita. La libertà. Improvvisamente ora la maestosa e amica natura dei
boschi e del mare, dei fiumi e della rocce cambia respiro e diventa
cittadina. Un’artificiale natura umanoide inventata dall’uomo
dove asfalto e cemento, tram e auto e moto sono rapidi contenitori e
veicoli di un’umanità metropolitana fatta di persone indaffarate e
veloci nevrotizzate da un continuo contatto con altre, grazie alla
protesi del telefonino, un via vai incessante di voci, di numeri, una
selva di strade e semafori, un puzzle di orari incrociati e di
spostamenti stressanti, abito qui ma lavoro là, io abito là ma
lavoro qui. Tu vai e io vengo. Non c’è più tempo per niente,
tutto è saturo, anche il cervello. Un peso quotidiano che si
aggiunge al peso del lavoro, tiranno da otto ore in su. Ma peggio del
tiranno lavoro c’è l’obitorio della psiche, il non lavoro, il
tempo che diventa gratuito e trasparente, come l’acqua e l’aria,
come il nulla del non fare. Dunque, per fortuna, il lavoro c’è,
dove c’è, agognato tiranno. E dove c’è lavoro ci sono altri
uomini e donne e ragazze, e la vita è comunque vibrante, un ping
pong di contatti e di speranze. Facce, voci, gesti e vestiti. Dove c’è
gente c’è il vestire, dunque la moda, e la non moda, ma sempre
vestire. Persone e personalità, esuberanza e discrezione, timidezza
e eccesso. Tempi difficili per l’economia, magri per il
portafoglio, vetrine per tutti moda per pochi... Tempi di invidia per troppo denaro facile, tempi di attesa per un futuro sempre in arrivo ma su un
binario sconosciuto. Almeno con il vestire si comunica esteriormente
chi siamo o chi vorremmo essere o non essere. La libertà
nell’abbigliarsi mai è stata disinvolta come oggi e consente a
tutti di essere immagine di se stessi secondo i propri gusti.
Immagine e finzione, magari fuori diversa da dentro, magari ambigua,
magari volutamente falsa e fuorviante, comunque scelta e voluta. Ecco
la potenza del vestire, e la Moda che la rincorre: non illuderti
guardandomi, può darsi che io non sia come ti sembro… Tempi
difficili di verità quotidiana collettiva e di apparenza estetica
personale, con il vestire e non solo. Vieni avanti fantasia… Tu, ma
solo per me. Fammi vivere, non sognare!
Nessun commento:
Posta un commento